Diario del 19 novembre

Essendo martedì io e Luca ci troviamo per andare a fare foto finalizzate all’installazione museale “Memory of the time” al mercato di Susa prima di andare a fare interviste nel comune di Mompantero. Ci troviamo come sempre alle 9.30, questa volta la giornata inizia con l’incontro con Gianluca Popolla, Don direttore del Museo Diocesano di Susa. Incontro volto a delineare il luogo effettivo dell’esposizione Memory of the Time I e, probabilmente.
Gianluca e Davide si dimostrano subito persone molto disponibili e aperte a trovare quante più possibilità esistano per rendere al meglio il lavoro che stiamo svolgendo. Finito l’incontro e delineati gli estremi della collaborazione, sempre io e Luca, andiamo ad affrontare il mercato di Susa, temprati da Bussoleno il giorno prima. Un qualcosa ci stupisce: tutte le persone a cui chiediamo di esser fotografate accettano di buon grado. La percentuale di chi è favorevole a farsi fotografare e a partecipare al progetto è quasi del 90%. La situazione ha un che di goliardico, molti banchi sono gli stessi conosciuti il giorno prima a Bussoleno ed in poco tempo diventiamo un’attrattiva di tutto il mercato. Iniziano ad arrivare persone a chiederci di fare foto. Riusciamo a raccogliere molto materiale, tra cui molti anziani, che generalmente sono quelli più restii a farsi immortalare. Conosciamo anche diverse signore molto interessanti che iniziano a chiacchierare con noi quindi, cogliendo la palla al balzo, decidiamo di fare anche qualche intervista. Iniziamo con una signora da un cognome molto particolare: Villem. Ci racconta che il suo cognome arriva dall’America ed originariamente era Willem, solo che nel periodo di italianizzazione fascista è diventato Villem. Durante l’intervista alla domanda “Si ricorda una qualche storia o racconto della sua infanzia?” La signora si emoziona e delle lacrime solcano le sue guance. Non riesce a raccontarci nulla ma dai suoi occhi era chiaro quante storie e quante memorie abbiano in quel momento attraversato la sua mente. Salutiamo la gentilissima signora che si è prestata per l’intervista e proseguiamo il giro. Fotografiamo praticamente tutti i banchi fino a che non ci imbattiamo in un banco di latte e formaggi tenuto da una margara del Colle delle Finestre. Chiacchierando con lei inizia a raccontarci di quanto difficile sia al giorno d’oggi portare avanti un’attività come la sua in un luogo desolato come il colle delle Finestre. Infatti ci racconta di come molti dei suoi gregge vengono attaccati, anche nelle stalle, da dei branchi di lupi ormai, a suo dire, fuori controllo. Le chiediamo di rubarle qualche minuto per poterla intervistare riguardo a questa tematica e la signora si presta apertamente. Ci racconta delle differenze di un tempo, ma un problema tecnico interrompe bruscamente l’intervista: il microfono è scarico e purtroppo abbiamo dimenticato le pile. La rabbia pervade le nostre membra ma ce ne facciamo una ragione, chi è causa del suo mal pianga se stesso.

Proseguiamo quindi il giro del mercato continuando a fotografare tutti coloro che accettano il nostro invito, e la percentuale di chi accetta rimane molto alta, per cui iniziamo a pensare ad una teoria: più si sale meno la gente è diffidente. Riusciamo a mettere insieme un centinaio di foto. Si fanno le 13 e decidiamo di confrontarci con un’ultima signora dall’età evidentemente agiata che attraversa lentamente la piazza del mercato. La fermiamo e la signora subito reagisce in maniera bizzarra. “Signora potremmo farle una fotografia e qualche domanda” e la signora risponde quasi urlando “NO!”, al che Luca con la tipica umiltà che lo contraddistingue risponde semplicemente “Okay”. Scatenato il vaso di Pandora. “NO! NON LO ACCETTO! LEI SA COSA VUOL DIRE OK?!” ed inizia un invettiva contro il povero Luca a cui è scappato di dirlo. Infatti la signora ci spiega di come l’okay derivi da 0 Kill del periodo di guerra e di come lei non sia d’accordo con l’utilizzo di questi termini nella lingua italiana. Inizia così un lunghissimo, veramente lungo, quasi eterno, racconto da parte della signora, che ci tiene li per un’ora impedendoci di allontanarci. Ci racconta di come ai suoi tempi, a suo dire, l’insegnamento era infinitamente migliore. Ci racconta di come fu bocciata al liceo classico perchè a dire dei suoi insegnanti “Studia ma non capisce niente”. Questa frase ha temprato così tanto il suo essere che, pare, abbia dedicato la sua vita per andarci contro, impegnandosi il più possibile e trovando poi una laurea in lingue, che la farà poi diventare insegnante di inglese in alcune scuole di Susa. Non ci è stata molto utile per il progetto questa chiacchiera, per quanto particolare. Una cosa detta dalla signora però mi ha colpito molto. In mezzo al flusso molto difficile da interrompere della sua esistenza son riuscito a chiederle di sfuggita che lingue sentisse quando era piccola e se conoscesse qualcosa dei vari patois della valle. E la signora con la solita rabbia e nervosismo che la contraddistingue “I patois sono la creazione di diverse lingue fatte apposta per non comprendersi”. Insomma la sua teoria era che l’incomprensibilità reciproca dei vari patois del luogo fosse una scelta consapevole per rendere i luoghi più inaccessibili agli “stranieri”, e con “straniero” s’intende anche solo uno che da Chiomonte va ad Exilles. Una riflessione interessante che non porta dietro di sè alcun fondamento linguistico ma che rende l’idea in qualche modo di come potesse essere visto il patois da persone esterne a questa cultura. In fondo in questa visione da anche una sorta di poeticità a queste lingue, come fossero lingue intime per delle comunità molto unite, un po come quelle lingue che da piccoli ci si inventa per non farsi capire dagli altri.

Finita questa lunga conversazione con la signora ci accorgiamo che ormai non rimaneva più nessuno nella piazza se non le cassette vuote di fine mercato e qualche sacchetto mosso dal vento. Potrebbero esser passate delle ere geologiche durante quella conversazione. Al che storditi ma contenti ci avviamo alle macchine e ci dirigiamo al comune di Mompantero.
Arrivati per le 15 nel comune anche qui ad attenderci una desolazione. Nessuno in giro, e in questo comune purtroppo non avevamo contatti diretti di persone da intervistare. Ma non ci facciamo abbattere motivati dalla mattinata al mercato e rimaniamo testardi e fedeli alle nostre intenzioni. Finalmente un’anima, si presenta un bambino seguito dalla madre. Li approcciamo in primis per chiedere informazioni su qualcuno disponibile. Chiacchierando con la signora scopriamo che è un’insegnante delle medie, e si dimostra essere interessata alla nostra ricerca, accetta anche di essere ripresa al che decidiamo di iniziare intervistando lei. Ci fornisce un’intervista diversa dalle altre, infatti il punto di vista è più giovanile. La signora ci racconta di come sia cresciuta a Mompantero, ma a suo dire no nei sono stati grandi cambiamenti dalla sua gioventù. Infatti Mompantero è sempre stato in qualche modo molto legato alla città di Susa, per motivi di vicinanza e la popolazione di Mompantero è sempre stata molto legata alla vita segusina. Già da quando era piccola non c’erano più scuole a Mompantero e sulla questione linguistica già la sua generazione ha vissuto la scomparsa dei dialetti, ad eccetto ovviamente del piemontese che rimane la prima lingua, a suo dire. Dopo questo cerchiamo di approcciare altre persone ma nessuna si dimostra disponibile per un’intervista, riusciamo solo a fare qualche altra foto e qualche altra chiacchiera estremamente rapida. Decidiamo quindi di ritornare a casa a visionare tutto il materiale raccolto in questa giornata, preoccupati per il giorno dopo, che da programma dovrebbe essere di nuovo a Mompantero.