Diario del 24 novembre

Io e Luca ci presentiamo ad Exilles per le 11.15, orario di fine della messa, con la grande speranza di trovare insieme una buona quantità di persone da intercettare. Le persone che escono dalla chiesa sono 13. Cerchiamo di fermarne un paio e piazziamo qualche appuntamento per l’intervista nel pomeriggio. Riusciamo a farne una sul momento, la prima, con una signora nata e vissuta ad Exilles, nonché mia parente (come quasi tutto il paese, come spesso capita nelle borgate di montagna): Bruna Chiamberlando.
Bruna si dimostra subito molto disponibile ad essere intervistata e ci racconta della sua gioventù exillese, dei giochi che faceva quando era piccola e di come erano i rapporti tra gli abitanti all’epoca rispetto a come sono adesso. Alla domanda “cosa ti manca di più del tuo pese?” senza pensarci un attimo ha risposto “Le persone”. Questa è stata la cosa che sul momento ovviamente ci ha colpito e interessato di più. Infatti subito ci da una tematica chiara da poter estrapolare per il nostro spettacolo. Infatti, come avremmo scoperto nel pomeriggio, è un sentimento comune a tutti coloro con cui ci siamo confrontati. Praticamente tutte le persone interpellate hanno risposto allo stesso modo a questa domanda. Tutti coloro che hanno sempre vissuto in questo comune oggi rimpiangono con nostalgia i tempi in cui nel paese si potevano vedere bambini giocare, anziani aprire le proprie porte per una chiacchiera, per vedere un programma in tv insieme (ai tempi in cui le tv ancora erano cosa rara), oppure contadini andare al campo, falegnami lavorare, insomma, si poteva vedere un paese vivo. Tutti condividono questa nostalgia e ci parlano di come un tempo fosse più “autentica” la vita del paese, intendendo chiaramente che aveva una propria autosufficienza. Banalmente detto in forma prettamente materialista: c’era lavoro.

Dopo l’intervista a Bruna, tra l’altro fatta 2 volte per un problema tecnico con il microfono appena ricevuto, siamo andati a mangiare al Deveys, accolti a casa di Edoardina Deyme (Già citata nella premessa) un autoctona del Deveys che ha sempre vissuto all’interno del comune di Exilles, lasciandolo veramente rare volte nella sua vita. A 91 anni si presenta ancora come una signora molto sveglia, con una memoria d’elefante e una luce negli occhi che fa pensare che nella sua vita lei il suo l’abbia portato a termine. L’intervista a Edoardina ci affascina più del dovuto, per cui invece di registrare solo 5 minuti di intervista abbiamo deciso di registrare quanto più possibile, portandoci a casa una mezzora di registrazione. Ci ha raccontato della sua infanzia, di come andasse a scuola a piedi, a 6 anni, dal Champbons ad Exilles, per una distanza di circa 2 km. Cosa che oggi sarebbe molto difficile da ripetere. Ci racconta della guerra, della morte dei suoi genitori e di come dopo la guerra abbia passato alcuni anni a Moncalieri accudita in un convento. Pare che quel periodo non le andò a genio: “Ogni giorno portavano il cibo, ed io avevo il cibo della tessera perché orfana di guerra. Mi portavano un pane nero nero, fatto forse con della crusca o qualche altra schifezza. Al prete invece arrivava sempre un miccone di pane fresco e bianco. L’avessi anche solo assaggiato una volta!”. Questo uno degli aneddoti che ci ha raccontato tra i molti. Poi racconti di partigiani ed ostaggi tra tedeschi e francesi, di mine pestate e gambe amputate, di salvataggi in extremis e molte altre storie di guerra. Il pranzo e l’intervista si concludono e noi riprendiamo il viaggio ad Exilles per le interviste che avevamo piazzato durante la mattina. Andiamo subito dal signor Luciano Cravero che ci racconta di come lui sia arrivato ad Exilles in realtà non giovanissimo e di come se ne sia follemente innamorato rimanendoci poi in pianta stabile. Non essendo autoctono non sapeva parlare il patois del luogo e di storie purtroppo non ha saputo raccontarcene. Andiamo avanti con la moglie Carla Cravero, anche lei exillese acquisita. Lei però appassionata di letteratura e leggende ci fornisce una testimonianza estremamente interessante. L’intervista avviene davanti al lavatoio all’ingresso di Exilles, e, sfruttando il luogo ci racconta delle lavandaie di inizio secolo, di come lavassero, e di come si occupassero, più in generale, dell’igiene della biancheria dei soldati che erano stanziati al forte di Exilles.

Continuiamo il nostro viaggio nella cultura exillese andando a parlare con il vice sindaco Michelangelo Castellano che, anche lui, con grande disponibilità ci racconta del suo amore e della sua passione per il luogo, nonostante anche lui fosse un exillese acquisito, ma ormai stabile da più di quaranta anni. Poi uno degli incontri più belli: Riccarco Humbert. Una della time di Exilles. Lui exillese d’oc, “Son nato a Susa e non ad Exilles solo perché quel giorno l’ostetrica era malata”. Scrittore di diversi romanzi ed appassionato delle storie del luogo si dimostra subito una fonte ipotetica di migliaia di storie. Purtroppo avendolo incontrato per strada non ci dilunghiamo quanto avremmo voluto e ci racconta solo qualche piccolo ricordo della sua infanzia e qualche detto in patois exillese che si porta dietro dai ricordi della nonna. Purtroppo anche lui, pur essendo exillese nel sangue, non sa parlare più quella lingua.

E così ci avviamo verso l’ultima intervista prefissata per il pomeriggio, il sole sta calando ed Exilles ci dona degli squarci meravigliosi. Un paese scolpito nella pietra, zona di passaggio per molti secoli ora solo sede di memorie per chi sa ricordare. Infatti nel paese si respira al contempo una grande calma e tranquillità ed un grande senso di desolazione. Non abbiamo incrociato più di 15 persone durante tutta la giornata in cui siamo stati li. Persi nella bellezza dei vicoli di questo paese alpino troviamo la porta di Massimo Norse, ultimo intervistato. Ex giornalista della Stampa ci ospita a casa sua, dove abbiamo il piacere di conoscere anche la moglie, purtroppo, affetta da Alzheimer, ma con una grande gioia e vitalità. Massimo ci racconta di come da bambino lui fosse “costretto” a scendere a Torino poiché i suoi genitori lavoravano a Torino, e di come, non riuscendo ad entrare nelle dinamiche di città, lui, appena possibile, corresse subito ad Exilles. Appena raggiunta l’età adulta infatti si trasferì definitivamente nel paese in cui nacque. Ci ha raccontato di come nella sua famiglia tutti parlavano patois come lingua madre, o al pari del piemontese. (Piccolo appunto: tra quelli intervistati tutti hanno detto con più o meno ironia che il piemontese è la loro prima lingua, prima dell’italiano) La cosa che più ci ha stupito di ciò che ci ha raccontato è proprio questo dettaglio sulla lingua: “I miei genitori o i miei nonni non mi parlavano mai in patois perché non era più socialmente approvato. Era brutto se un bambino andava in giro a parlare patois, ormai si doveva parlare italiano”. Questo ci ha dato subito un’indicazione sulle motivazioni per cui queste lingue, oggi, non son riuscite ad essere trasmesse alle generazioni successive. L’italianizzazione che si è vissuta negli anni del dopo guerra ha fatto si che tutti fossero “costretti”, e non è di per se un dato negativo, a parlare l’italiano, a discapito però delle varie culture e sottoculture dei vari luoghi. Infatti un luogo come la valle a causa di questo fenomeno ha man mano abbandonato molte delle sue tradizioni, ed un giovane oggi molto spesso è addirittura avverso a confrontarsi con questo mondo, vedendolo come un qualcosa di lontano a lui, noioso, vecchio.

Per questo motivo nostra intenzione è quella di fare anche qualche intervista a dei giovani di questi luoghi, per avere anche il loro punto di vista su questa tradizione e cultura. La nostra speranza non è certo che tutte queste lingue e tradizioni tornino a vivere come un tempo, questo è impossibile; ma noi crediamo che questo patrimonio, in maniera più o meno diretta, sia certamente fondamento di ciò che noi tutt’ora viviamo. Come il mito nell’antica Grecia è stato in grado di plasmare il pensiero di tutto l’occidente, così, forse ingenuamente, noi riteniamo che dare una forma artistica anche a questi miti possa in qualche modo plasmare e consapevolizzare gli abitanti di queste valli sul valore di ciò che fu. Tuttavia queste riflessioni ce le portiamo a casa, iniziando a pensare alle avventure del giorno di domani. Infatti domani l’obiettivo sarà quello di andare al mercato di Bussoleno, città più in bassa valle, per capire in un luogo come quello che tipo di differenze possano esserci con la desolazione di un paese come Exilles. Cercheremo in quel caso di fare qualche chiacchiera con qualcuno, senza però fare l’intervista vera e propria, ma accumulando un buon materiale fotografico per realizzare l’installazione mussale “Memory of the Time I”.